Per la Cgil la soglia necessaria per accedere alla pensione anticipata salirà troppo fino al 2030 rendendo l’uscita prima della vecchiaia un vero e proprio miraggio
Negli ultimi anni, l’accesso alla pensione anticipata in Italia si è progressivamente allontanato per molti lavoratori, a causa di soglie sempre più elevate richieste dalla normativa vigente. L’analisi degli esperti della CGIL evidenzia come, entro la fine del decennio, l’obiettivo di un ritiro dal lavoro prima della vecchiaia rischia di trasformarsi in un’ipotesi difficilmente realizzabile per una fetta crescente della popolazione attiva.
Analizzando gli importi minimi richiesti per il pensionamento anticipato, si osserva un’evoluzione significativa dal 2022 in avanti: la soglia economica, che determina la possibilità di lasciare il lavoro prima della pensione di vecchiaia, si è progressivamente alzata secondo i parametri fissati dal Governo e in parte anche in risposta al tasso di inflazione. Entrando più nel dettaglio:
Anno | Soglia (volte l'assegno sociale) | Importo lordo minimo |
2022 | 2,8x | 1.309 € |
2024 | 3x | 1.616 € |
2030 | 3,2x | 1.811 € |
Questo incremento è determinato sia dall’innalzamento del parametro relativo all’assegno sociale, sia dall’adeguamento all’inflazione. Per raggiungere tale traguardo, occorrerebbe una base retributiva complessiva di circa 388.953 euro maturata nel corso dell’intera vita lavorativa, una condizione che la CGIL stessa definisce quasi irraggiungibile per la maggior parte dei lavoratori dipendenti con stipendi bassi o medi.
Le simulazioni proposte dall’Ufficio politiche previdenziali della CGIL mostrano che:
Tuttavia, se, secondo le stime, nel 2030 la soglia per l’uscita a 64 anni raggiungerà 1.811,78 euro, cioè +502,36 euro rispetto al 2022, renderà impossibile la pensione anticipata alla maggior parte dei lavoratori italiani.
Secondo i calcoli, infatti, con retribuzioni medie o basse la soglia non è raggiungibile nemmeno dopo 40 anni di contributi e neppure con l’uso del Tfr. Solo un montante contributivo aggiuntivo di oltre 128.000 euro, praticamente impossibile per chi ha carriere discontinue e salari medi o bassi, che richiederebbe una retribuzione aggiuntiva di 388.953 euro al 2030, potrebbe aiutare.
Il TFR rappresenta una parte integrante del salario, destinato a tutelare il lavoratore nel momento della cessazione del rapporto di lavoro. Utilizzarlo per colmare i requisiti pensionistici equivarrebbe, sostengono le analisi sindacali, a “intaccare diritti certi”, trasferendo di fatto l’onere di una previdenza pubblica strutturale sulle spalle degli individui.