Quanto pagano di tasse le PMI in Italia nel 2025? La media attuale e il sorprendente divario fiscale rispetto a multinazionali e grandi imprese
In Italia, il sistema fiscale gravante sulle piccole e medie imprese (PMI) rappresenta da anni un fattore critico per la crescita economica e la competitività del tessuto produttivo nazionale. Le PMI, che costituiscono la spina dorsale dell’economia italiana sia in termini di occupazione che di contributo al prodotto interno lordo, sono soggette a un prelievo fiscale effettivo tra i più elevati d’Europa, mentre le grandi multinazionali e i colossi del web godono di condizioni notevolmente più vantaggiose dal punto di vista tributario.
Nel 2025, la pressione fiscale totale sulle PMI italiane si attesta su una media di circa il 50% sull’utile d’impresa, tenendo conto di imposte dirette (IRES e IRAP), contributi previdenziali obbligatori, e tributi locali e regionali. Tale incidenza supera nettamente sia la media europea che quella dei Paesi OCSE, che rispettivamente si aggirano intorno al 21% e al 24% di aliquota legale media. Le PMI rappresentano oltre il 90% delle aziende italiane, assicurano circa il 65% dei posti di lavoro e concorrono a generare il 50% del PIL nazionale.
Il peso delle imposte, insieme ai costi amministrativi elevati e alla burocrazia, limita fortemente la capacità delle PMI di realizzare investimenti produttivi e innovazione, e rende più difficoltoso accedere ai mercati internazionali. La situazione arreca un danno alla competitività e accentua il divario con le realtà imprenditoriali di maggiori dimensioni.
L’analisi dei dati più recenti mostra una profonda asimmetria nella tassazione effettiva tra PMI italiane e grandi gruppi internazionali, soprattutto nel comparto tecnologico e digitale. Nel 2025, le PMI hanno corrisposto all’erario nazionale circa 24,6 miliardi di euro, mentre le 25 principali multinazionali del web presenti in Italia, tra cui Amazon, Google e Meta, hanno versato in totale appena 206 milioni di euro, ossia un importo 120 volte inferiore rispetto alle PMI, a fronte di fatturati multimiliardari.
Il motivo risiede nelle strategie di ottimizzazione fiscale internazionale adottate dalle multinazionali, che trasferiscono frequentemente gli utili ante imposte in paesi a fiscalità agevolata (come Irlanda, Lussemburgo, Paesi Bassi), riducendo la base imponibile nazionale attraverso strumenti perfettamente legittimi. Per le PMI, tali pratiche non sono percorribili sia per ragioni di scala che di struttura organizzativa.
La CGIA di Mestre evidenzia che, mentre le PMI subiscono un’aliquota effettiva vicina al 50%, il tax rate medio delle multinazionali del web in Italia si aggira intorno al 36%. Solamente nelle regioni Molise e Valle d’Aosta le tasse versate dalle big tech superano quelle delle imprese locali.
Le disuguaglianze fiscali tra aziende di diversa dimensione sono aggravate da molteplici fattori strutturali e operativi:
Da quest'anno entrerà in vigore la Global Minimum Tax, una misura OCSE che prevede l’applicazione di un’aliquota del 15% su tutte le multinazionali con ricavi superiori a 750 milioni di euro annui. L’obiettivo è ridurre l’arbitraggio fiscale globale, scoraggiando il trasferimento di profitti verso paradisi fiscali e rendendo più equa la concorrenza internazionale.
Tuttavia, le stime ufficiali (Servizio Bilancio dello Stato della Camera) valutano che il gettito aggiuntivo sarà modesto: 381,3 milioni di euro in più nel 2025, con previsioni che vedono un innalzamento graduale fino a circa 500 milioni di euro nel 2033. Il provvedimento interesserà inizialmente 19 Paesi dell’Unione Europea; Spagna e Polonia si adegueranno in corso d’anno, mentre Estonia, Lettonia, Lituania e Malta potranno posticipare l’applicazione grazie a una proroga fino al 2030. L’efficacia della GMT è quindi limitata dalla mancata uniformità applicativa a livello continentale e dalla possibilità residua, per le grandi holding, di continuare a ottimizzare parte dei profitti in territori europei a bassa tassazione.
Peraltro, molte giurisdizioni che avevano aliquote inferiori al 15% (Bulgaria, Ungheria, Irlanda, Liechtenstein, Barbados) hanno adeguato il prelievo effettivo con norme specifiche (Qualified Domestic Minimum Top-up Tax/UtpR), ma persistono ampi spazi di elusione per almeno un altro quinquennio.
Il quadro internazionale mostra una tendenza al calo delle aliquote statutarie d’imposta sulle società, scese dal 40% medio mondiale del 1980 a circa il 23,5% nel 2025 per le imprese ordinarie. Nell’Europa occidentale, ove l’Italia compete, l’aliquota media si mantiene intorno al 21%-22%, stabilizzandosi dopo decenni di riduzioni.
Molti paesi hanno contribuito all’implementazione di regole OCSE aumentando gradualmente le aliquote effettive sulle grandi società. Tuttavia, la struttura produttiva italiana, composta prevalentemente da PMI con margini ristretti e scarso potere negoziale sui mercati, resta nettamente svantaggiata rispetto ai grandi operatori globalizzati.
Il prelievo fiscale sulle società non è omogeneo su tutto il territorio italiano. Secondo i dati della CGIA, solo in Molise e Valle d’Aosta le “WebSoft” – cioè le grandi società del we, pagano più imposte alla collettività locale delle aziende presenti sul territorio. Questo riflette la concentrazione delle PMI e il ruolo delle economie regionali, con la Lombardia che si conferma la regione con il maggiore gettito fiscale prodotto da imprese (oltre 25 miliardi), seguita da Lazio, Emilia-Romagna e Veneto.
Regione | Gettito PMI (mln €) | Rapporto vs. Websoft |
Lombardia | 25.758 | +125 |
Lazio | 11.670 | +56,7 |
Emilia Romagna | 7.819 | +38 |
Veneto | 7.582 | +36,8 |
Molise | 175 | +0,8 |
Valle d’Aosta | 190 | +0,9 |
Questa segmentazione geografica suggerisce l’esigenza di politiche fiscali differenziate e mirate alle caratteristiche produttive di ciascuna regione italiana.