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Statali e manovra finanziaria una presa in giro nel testo approvato: scomparsi fondi per aumenti, anticipo Tfs ridotto, no detassa

di Marcello Tansini pubblicato il
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La Manovra Finanziaria 2026 è una grande delusione per i dipendenti pubblici: non ci sarà alcuna buona novità di quelle annunciate e anche approvate per il settore privato

Il dibattito sulle misure previste per i dipendenti pubblici nella Manovra finanziaria 2026 si è acceso sin dalle prime bozze. Da mesi si attendevano risposte concrete in tema di salari, flessibilità in uscita e allineamento tra settore pubblico e privato. Le aspettative erano sostenute anche da precedenti annunci governativi: ulteriori risorse per i rinnovi contrattuali, anticipazione dei tempi di erogazione TFS/TFR, nonché l’estensione di una detassazione già in vigore nel privato.

Tuttavia, il testo approvato rappresenta una svolta inattesa e, per larga parte degli statali, poco soddisfacente. Nonostante il clima di attesa, nel testo definitivo sono scomparse alcune delle misure più richieste dalle parti sociali, come un reale anticipo del TFS e la piena estensione delle agevolazioni fiscali sugli aumenti in busta paga. 

Aumenti salariali statali: cancellati i fondi per i rinnovi contrattuali

L’assenza dello stanziamento aggiuntivo di 500 milioni di euro per il rinnovo dei contratti nel settore pubblico rappresenta una battuta d’arresto significativa. Nella manovra 2026, infatti, è stato eliminato proprio il fondo straordinario previsto per accompagnare la tornata contrattuale e riconoscere incrementi stipendiali al personale della Pubblica Amministrazione.

Nel ciclo precedente (2022-2024) erano stati previsti investimenti di ampia portata per premiare il lavoro pubblico e mantenere la competitività retributiva rispetto al privato. Questa inversione di rotta avviene in un contesto in cui il personale pubblico tratta ancora per il recupero del potere d’acquisto eroso dall’inflazione e dagli adeguamenti fiscali.

Il taglio dei fondi ha conseguenze anche sugli aumenti medi lordi attesi, andando a incidere direttamente sulla liquidità percepita e vanificando parte degli incrementi necessari ad adeguare le retribuzioni all’incremento dei prezzi. Tabella di esempio:

Anno Stanziamento aggiuntivo (milioni €) Effetto rinnovo sullo stipendio medio (€)
2022 6.400 +85 mensili
2024 7.200 +110 mensili
2026 0 --

L’impatto reale di questo stop comporta non solo la stagnazione degli stipendi, ma anche la perdita di una leva di dialogo con le organizzazioni sindacali, che avevano individuato negli aumenti una misura “non differibile” e centrale.

La detassazione degli aumenti: confronto tra statali e privati e cosa cambia dopo la manovra

Uno degli elementi maggiormente critici riguarda la detassazione degli aumenti contrattuali. Nel settore privato, è previsto un regime agevolato che consente di applicare un’aliquota ridotta sulle somme erogate a titolo di incremento retributivo o premio di produttività.

Nelle precedenti bozze della manovra, il medesimo beneficio era stato promesso anche ai dipendenti pubblici, prospettando la riduzione dell’aliquota al 5% su determinati importi in busta paga per chi avesse una retribuzione fino a 28.000 euro lordi annui. Con l’approvazione del testo definitivo, questa misura è stata neutralizzata, con la conseguenza che il cuneo fiscale torna a penalizzare gli statali rispetto ai dipendenti del settore privato. Ciò significa che:

  • I lavoratori pubblici devono nuovamente sottostare all’Irpef piena su aumenti e premi, con un impatto negativo sul netto percepito rispetto ai colleghi del privato.
  • L’esclusione dalla detassazione rischia di ridurre drasticamente l’appeal del lavoro nella PA, soprattutto nelle fasce medio-basse.
Le simulazioni precedenti dimostravano che, per un lavoratore con reddito sotto la soglia prevista, la detassazione poteva aumentare il netto fino a 160 euro annui. Non applicare ora questa riduzione significa lasciare invariati i differenziali tra pubblico e privato, aggravando il gap retributivo e fiscalmente favorendo solo una parte dei lavoratori italiani. 

TFR e TFS agli statali: perché l’anticipo non è più realmente vantaggioso

Le novità introdotte dalla manovra 2026 impattano negativamente anche sui tempi di liquidazione di TFR (Trattamento di Fine Rapporto) e TFS (Trattamento di Fine Servizio) ai lavoratori pubblici. Nei mesi precedenti, era emersa l’idea di armonizzare le tempistiche di erogazione del Trattamento tra settore pubblico e privato, garantendo agli statali la possibilità di ricevere una prima quota fino a 50.000 euro entro tre mesi dalla cessazione del servizio. Questa misura è stata ora fortemente ridimensionata:

  • L’anticipo non avverrà più entro i 3 mesi, ma la prima rata sarà corrisposta solo dopo 9 mesi.
  • La differenza rispetto alle attese è netta: la liquidità immediata promessa ai neo-pensionati viene meno, tornando a tempi di attesa più lunghi rispetto allo scenario annunciato.
  • Per la restante parte del TFS, rimangono in vigore le vecchie regole: pagamento a rate con tempistiche che, per importi elevati, si prolungano fino a 24 o 36 mesi dal pensionamento.
L’obiettivo di Riforma del TFS/TFR era quello di ridurre drasticamente la distanza rispetto alle regole vigenti nel settore privato, dove il trattamento di fine rapporto viene erogato in tempi molto più rapidi. 

Impatto sui lavoratori pubblici: potere d’acquisto, aspettative e reazioni dei sindacati

La percezione diffusa tra i lavoratori pubblici è di un netto arretramento rispetto alle promesse di adeguamento salariale e ai tentativi di rendere la pubblica amministrazione più competitiva rispetto al privato. La mancata detassazione, l’assenza di fondi per aumenti e il ritorno a liquidazioni TFR/TFS meno rapide espongono il personale a una progressiva erosione del potere d’acquisto, già messo a dura prova dall’inflazione e dall’incertezza normativa. Tabella esplicativa:

Voci Prima della manovra Dopo la manovra 2026
Detassazione aumenti Prevista (aliquota 5%) Eliminata
Nuovi fondi rinnovo 500 milioni € 0
TFS/TFR rapido 1ª rata dopo 3 mesi 1ª rata dopo 9 mesi
  • Numerose sigle sindacali, tra cui Cgil e Uil, hanno manifestato pubblicamente la loro contrarietà, sottolineando la perdita di credibilità del dialogo istituzionale e la necessità di rivedere le priorità nelle politiche per il pubblico impiego.
  • Il blocco degli aumenti e il mantenimento di tempi lunghi per liquidare il TFR/TFS sono visti come segnali negativi sia nell’ottica della fidelizzazione che dell’attrazione di nuove professionalità.

 

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