Nonostante gli aumenti degli stipendi degli italiani, gli importi continuano ad essere bassi e tra quelli che crescono meno tra i paesi europei: i motivi
Dal 2019 al 2024 si è registrato un incremento medio degli stipendi in Italia fino al 10%, secondo le più recenti statistiche Istat. Questa crescita, se letta isolatamente, potrebbe suggerire un miglioramento significativo delle condizioni economiche dei lavoratori italiani.
Tuttavia, l’analisi del contesto macroeconomico in cui tale aumento è stato registrato, rende necessarie alcune importanti precisazioni: infatti, l’andamento dell’inflazione e il rallentamento della produttività hanno inciso profondamente sulla reale capacità di spesa delle famiglie.
Le più recenti rilevazioni Istat indicano che nel primo trimestre del 2025 la retribuzione contrattuale media per i dipendenti italiani si attesta attorno a 1.600 euro netti mensili, con variazioni significative a seconda del settore e del tipo di contratto applicato.
I dati dei principali Contratti Collettivi Nazionali di Lavoro (CCNL) evidenziano, ad esempio, per il settore metalmeccanico, un incremento delle mensilità di circa 27-28 euro sul livello medio, mentre il settore dei servizi fa registrare incrementi più modesti, ma sono ancora ben 6,6 milioni di lavoratori, oltre il 50% del totale, ad attendere la revisione degli stipendi.
Secondo gli ultimi dati dell’Istat, nel 2024 le retribuzioni orarie dei lavoratori dipendenti previste dai Ccnl sono cresciute del 3,1% rispetto all’anno precedente: gli aumenti sono stati superiori alla media nell’industria e nei servizi privati, dove le retribuzioni sono aumentate rispettivamente del 4,6% e del 3,4%; nel settore agricolo l’aumento è stato dell’1,3%, mentre tra i dipendenti del settore pubblico gli stipendi sono rimasti mediamente uguali.
Anche nel 2023 le retribuzioni erano aumentate, di circa il 3,1%, ma anche prezzi erano saliti, del 5,7%, quasi del doppio. Stesso discorso è accaduto l’anno prima ancora, senza considerare l’inflazione arrivata alle stelle.
Il risultato è che in questi anni si è accumulata una consistente perdita del potere d’acquisto, che, nonostante gli aumenti retributivi, non è stata recuperata.
Settore | Stipendio medio netto mensile (2024-2025) | Variazione 2019-2024 |
Industria | circa 1.650€ | +9,2% |
Servizi | circa 1.500€ | +7,4% |
Commercio/Turismo | circa 1.300€ | +6,5% |
Pubblica amministrazione | circa 1.700€ | +10,3% |
In Italia, la crescita degli stipendi è determinata principalmente dalla contrattazione collettiva nazionale e dai rinnovi contrattuali, a cui si aggiungono contratti aziendali o territoriali (secondo livello), spesso legati a parametri di produttività.
Uno degli elementi più critici riportati dagli ultimi dati Istat è la crescita asimmetrica tra stipendi e incrementi nei prezzi al consumo. Tra il 2019 e il 2024, l’inflazione cumulata ha raggiunto circa il 17%, con picchi superiori al 5% annuo tra il 2021 e il 2023, a fronte di una crescita degli stipendi intorno all’8-10% nello stesso periodo.
Da gennaio del 2021, i prezzi sono saliti complessivamente del 16,8%, mentre le retribuzioni contrattuali dell’8,2%, cioè meno della metà. Nonostante, dunque, il recupero e gli aumenti del 2024, gli stipendi italiani restano ancora molto bassi, rispetto al costo della vita da equiparare, e sono tra quelli che crescono meno tra i paesi europei.
Dunque, anche se i salari italiani sono saliti nominalmente, la crescita dei prezzi ha eroso quasi completamente i benefici degli aumenti. Il confronto internazionale evidenzia una performance molto debole del nostro Paese rispetto alle principali economie europee.
Le recenti manovre sul cuneo fiscale hanno previsto, soprattutto dal 2022-2025, riduzioni delle trattenute sui contributi a carico dei lavoratori dipendenti con redditi medio-bassi, con nuove detrazioni e bonus una tantum per i redditi fino a 40 mila euro.
Tale riduzione si è tradotta in salari netti leggermente più alti, che però non incide strutturalmente sulla crescita degli stipendi reali.