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Stipendi aumentati del 10% dal 2019-2024 secondo le ultime statistiche INPS, ma non basta

di Marcello Tansini pubblicato il
Stipendi aumentati 2019 2024 non basta

Nonostante gli aumenti degli stipendi degli italiani, gli importi continuano ad essere bassi e tra quelli che crescono meno tra i paesi europei: i motivi

Dal 2019 al 2024 si è registrato un incremento medio degli stipendi in Italia fino al 10%, secondo le più recenti statistiche Istat. Questa crescita, se letta isolatamente, potrebbe suggerire un miglioramento significativo delle condizioni economiche dei lavoratori italiani.

Tuttavia, l’analisi del contesto macroeconomico in cui tale aumento è stato registrato, rende necessarie alcune importanti precisazioni: infatti, l’andamento dell’inflazione e il rallentamento della produttività hanno inciso profondamente sulla reale capacità di spesa delle famiglie. 

Le statistiche Istat 2024 sui livelli retributivi medi in Italia

Le più recenti rilevazioni Istat indicano che nel primo trimestre del 2025 la retribuzione contrattuale media per i dipendenti italiani si attesta attorno a 1.600 euro netti mensili, con variazioni significative a seconda del settore e del tipo di contratto applicato.

I dati dei principali Contratti Collettivi Nazionali di Lavoro (CCNL) evidenziano, ad esempio, per il settore metalmeccanico, un incremento delle mensilità di circa 27-28 euro sul livello medio, mentre il settore dei servizi fa registrare incrementi più modesti, ma sono ancora ben 6,6 milioni di lavoratori, oltre il 50% del totale, ad attendere la revisione degli stipendi.

Secondo gli ultimi dati dell’Istat, nel 2024 le retribuzioni orarie dei lavoratori dipendenti previste dai Ccnl sono cresciute del 3,1% rispetto all’anno precedente: gli aumenti sono stati superiori alla media nell’industria e nei servizi privati, dove le retribuzioni sono aumentate rispettivamente del 4,6% e del 3,4%; nel settore agricolo l’aumento è stato dell’1,3%, mentre tra i dipendenti del settore pubblico gli stipendi sono rimasti mediamente uguali.

Anche nel 2023 le retribuzioni erano aumentate, di circa il 3,1%, ma anche prezzi erano saliti, del 5,7%, quasi del doppio. Stesso discorso è accaduto l’anno prima ancora, senza considerare l’inflazione arrivata alle stelle.

Il risultato è che in questi anni si è accumulata una consistente perdita del potere d’acquisto, che, nonostante gli aumenti retributivi, non è stata recuperata.

Settore Stipendio medio netto mensile (2024-2025) Variazione 2019-2024
Industria circa 1.650€ +9,2%
Servizi circa 1.500€ +7,4%
Commercio/Turismo circa 1.300€ +6,5%
Pubblica amministrazione circa 1.700€ +10,3%

Il meccanismo degli aumenti salariali: contrattazione, inflazione e produttività

In Italia, la crescita degli stipendi è determinata principalmente dalla contrattazione collettiva nazionale e dai rinnovi contrattuali, a cui si aggiungono contratti aziendali o territoriali (secondo livello), spesso legati a parametri di produttività.

  • Rinnovo dei CCNL: Il rinnovo avviene generalmente ogni 3-4 anni e include clausole che garantiscono l’erogazione di aumenti anche dopo la scadenza.
  • Maggiorazione salariale legata all’IPCA: Gli incrementi vengono calcolati sull’Indice dei Prezzi al Consumo Armonizzato (IPCA), al netto degli energetici importati, per tutelare il potere d’acquisto.
  • Contratti di secondo livello: Nel 2024, circa il 26% dei lavoratori percepisce premi variabili collegati alla produttività aziendale, con importi medi attorno a 1.500 euro annui.
Tale struttura, se da un lato garantisce una certa tutela dai picchi inflazionistici, risente della lentezza nei rinnovi contrattuali e della debolezza nella negoziazione settoriale.

Inflazione reale e percepita: quanto incidono sui redditi degli italiani

Uno degli elementi più critici riportati dagli ultimi dati Istat è la crescita asimmetrica tra stipendi e incrementi nei prezzi al consumo. Tra il 2019 e il 2024, l’inflazione cumulata ha raggiunto circa il 17%, con picchi superiori al 5% annuo tra il 2021 e il 2023, a fronte di una crescita degli stipendi intorno all’8-10% nello stesso periodo.

  • L’inflazione reale segnalata dall’Istat per il 2024 si attesta intorno all’1,3% (IPCA-NEI), ma l’inflazione percepita dai consumatori è quasi del 10%.
  • L’impatto è stato particolarmente forte sui beni essenziali, come energia, generi alimentari e spese abitative, per cui le famiglie hanno percepito aumenti ancora più marcati rispetto ai dati ufficiali.
  • Secondo Noto Sondaggi, nel 2024 il 61% degli italiani ritiene il proprio stipendio insufficiente a coprire il costo della vita, portando più della metà delle famiglie a ridurre i consumi.
Il gap tra inflazione reale e salari ha determinato una perdita del potere d’acquisto pari al 7,9% rispetto ai livelli pre-pandemici (dato Istat aprile 2024).

Da gennaio del 2021, i prezzi sono saliti complessivamente del 16,8%, mentre le retribuzioni contrattuali dell’8,2%, cioè meno della metà. Nonostante, dunque, il recupero e gli aumenti del 2024, gli stipendi italiani restano ancora molto bassi, rispetto al costo della vita da equiparare, e sono tra quelli che crescono meno tra i paesi europei.

Perché gli aumenti degli stipendi non bastano: potere d’acquisto e confronto europeo

Dunque, anche se i salari italiani sono saliti nominalmente, la crescita dei prezzi ha eroso quasi completamente i benefici degli aumenti. Il confronto internazionale evidenzia una performance molto debole del nostro Paese rispetto alle principali economie europee.

  • Tra il 2008 e il 2024 i salari reali italiani hanno registrato una flessione dell’8,7% (fonte ILO), mentre in Francia si è osservato un incremento del 5%, in Germania quasi del 15%.
  • L’adeguamento dei compensi non tiene il passo dell’incremento dei prezzi, aggravando la distanza dal resto dell’Europa occidentale.
  • Il costo del lavoro relativamente basso continua a favorire l’occupazione nei settori meno dinamici ma acuisce la diffusione della cosiddetta “povertà lavorativa”.
Il potere d’acquisto degli italiani resta penalizzato da:
  • Inadeguatezza degli aumenti retributivi rispetto all’inflazione
  • Bassa produttività e scarsa innovazione nei settori chiave
  • Eccessiva incidenza di contratti scaduti o non rinnovati tempestivamente
  • Disuguaglianze crescenti nella distribuzione della ricchezza
Gli aumenti degli stipendi registrati, pur se apparentemente alti, non bastano, quindi, perchè non equiparano il reale valore del costo attuale della vita, non essendo cresciuti di pari passo all'andamento dell'inflazione (che ha raggiunto livelli altissimi lasciando indietro le retribuzioni) e considerando che tantissimi attendono i rinnovi contrattuali con gli ulteriori aumenti da definire.

Effetti delle politiche sul cuneo fiscale e sulle detrazioni: chi guadagna e chi perde

Le recenti manovre sul cuneo fiscale hanno previsto, soprattutto dal 2022-2025, riduzioni delle trattenute sui contributi a carico dei lavoratori dipendenti con redditi medio-bassi, con nuove detrazioni e bonus una tantum per i redditi fino a 40 mila euro.

Tale riduzione si è tradotta in salari netti leggermente più alti, che però non incide strutturalmente sulla crescita degli stipendi reali.

 

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