Quali prospettive potrebbero esserci per il prossimo anno per le novità per le pensioni o la revisione dell'Irpef, cosa davvero si potrà fare
Negli ultimi anni l'alternanza tra riforma fiscale e previdenziale è diventata una costante nel dibattito politico ed economico italiano. In particolare, le decisioni focalizzate sull'Irpef e sulle pensioni hanno un impatto diretto sulle condizioni di vita di lavoratori e pensionati. La domanda che molti si pongono è se nel 2026 l'attenzione si concentrerà su un nuovo intervento sull'imposta sul reddito o se, piuttosto, a prevalere sarà una modifca reale del sistema previdenziale.
La fase sperimentale del riordino Irpef ha preso forma tra il 2023 e il 2025 con la riduzione degli scaglioni da quattro a tre. Dal 2024, le aliquote Irpef sono diventate a tre, rispettivamente al:
Le intenzioni di lavoro sull’Irpef per il prossimo anno puntano ad una ulteriore riduzione della tassazione, in particolare della seconda aliquota del 35%, che potrebbe passare al 33%, e non più sulla fascia di reddito fino a 50mila euro ma estendendo la soglia a 60mila euro. Si tratterebbe di un calo di due punti percentuali che si tradurrebbe in un risparmia di centinaia di euro annue per il ceto medio, quello che il governo vuole sostenere.
Ora, per ridurre l’Irpef dal 35% al 33%, secondo le stime, servirebbero circa 4 miliardi all’anno, se si estende il taglio ai redditi fino a 60 mila euro. La riduzione dei due punti percentuali implicherebbe benefici per i redditi esclusi dalle prime tranche della riforma fiscale.
Il dibattito sulle pensioni si è concentrato in questi anni sulla ricerca di soluzioni di maggiore flessibilità in uscita, senza gravare sui conti pubblici. Ma proprio il limite di spesa rappresenta la barriera principale: ogni soluzione si basa su un compromesso tra sostenibilità e tutela sociale, con penalizzazioni che si pongono come alternativa inevitabile a fronte di risorse pubbliche limitate.
La riforma delle pensioni 2026 potrebbe essere molto articolata, prevedendo non solo nuovi sistemi di uscita anticipata, come la pensione a 64 anni di età o la cosiddetta quota 41 flessibile, ma anche modifiche per i fondi pensione, anche per permettere di anticipare il momento dell'uscita dal lavoro.
Ogni anno si sono susseguite nel corso dei mesi dichiarazioni di voler rivedere l’attuale riforma pensionistica, da sempre considerata molto rigida. Ma alla fine di ogni anno, con le ultime Manovre Finanziarie, nulla di concreto è mai stato fatto per le pensioni, se non cosiddette misure tampone, e temporanee, come le quote che si sono susseguite, dalla 100 alla 102, alla 103, l’opzione donna, negli anni rivista, o l’ape sociale.
Il motivo per cui nulla in tal senso è stato mai fatto è la spesa altissima e la mancanza delle risorse economiche necessarie per una totale revisione delle regole pensionistiche attuali che, comunque, nel nostro panorama legislativo sono le uniche, come anche sostenute dall’Ue, che riescono a garantire sostenibile finanziaria.
Ecco perchè finora si è prediletto il taglio dell'Irpef, che comunque ha inciso e incide anche sulle pensioni, con aumenti degli importi soprattutto per i pensionati che rientrano nella fascia di redditi medi.
Analizzando i vincoli normativi e la disponibilità finanziaria, le soluzioni realistiche per il prossimo anno appaiono limitate sia nell'ambito della riforma Irpef sia per la riforma delle pensioni 2026 e capire cosa si farà il prossimo anno è complesso al momento.
Gli spazi di manovra, comunque, restano vincolati dagli obiettivi di tenuta dei conti pubblici chiesti dall'Unione Europea e dall'andamento della spesa pensionistica, ormai prossima al 16% del Pil.