La nuova tassazione sulle banche introdotta nella manovra finanziaria 2026 solleva dubbi su efficacia e effetti reali: misure, impatti su risparmiatori, imprese e motivazioni politiche.
Dopo anni di prelievi straordinari, questa manovra si caratterizza per l'applicazione simultanea di vari strumenti tributari, suscitando un acceso dibattito tra osservatori, istituzioni e associazioni di categoria. In un contesto economico segnato da una ridotta crescita e dalla necessità di reperire nuovi fondi per il bilancio statale, le scelte del governo hanno riaperto la discussione sul populismo fiscale dietro le nuove tasse sulle banche, con preoccupazioni crescenti circa le ripercussioni su risparmiatori, PMI e imprese. Si tratta di una strategia presentata come sostegno all'interesse collettivo, il cui effetto reale, però, necessita di un'analisi articolata che coinvolga vari attori dell'economia italiana.
Come spiegano Tommaso Di Tanno e Rony Hamaui della voce.info, il governo ha varato una complessa manovra che nel 2026 costerà alle banche svariati miliardi tra nuove tasse e anticipi di liquidità. Ma a preoccupare sono le distorsioni che così si producono tra minori accantonamenti e maggiori costi della raccolta.
La manovra finanziaria 2026 prevede numerosi interventi sul sistema tributario bancario. Tra le misure di rilievo emergono:
L'insieme delle disposizioni proposte introduce diversi elementi di vulnerabilità per il settore bancario. L'incoraggiamento a distribuire dividendi già nel prossimo biennio, attraverso l'affrancamento delle riserve, porta a una diminuzione degli accantonamenti, esponendo così gli istituti a shock avversi e a una minore resilienza in caso di crisi. L'aumento dell'IRAP, oltre a penalizzare fiscalmente il sistema rispetto ad altri comparti industriali, incide direttamente sulla redditività delle banche e rischia di riflettersi sui costi dei servizi bancari offerti sia a imprese sia ai risparmiatori.
La progressiva limitazione della deducibilità degli interessi passivi può spingere gli istituti a ridurre la remunerazione sui depositi, rendendo meno attraenti i prodotti di risparmio per i cittadini. Inoltre, l'anticipo di liquidità obbligato riduce temporaneamente le risorse interne a disposizione degli istituti, limitando la capacità di erogare credito a imprese e PMI-proprio in una fase storica in cui il sostegno al tessuto produttivo nazionale risulta cruciale.
La nuova disciplina della deducibilità delle svalutazioni su crediti comporta per le banche l'obbligo di ripartire l'impatto fiscale nell'arco di cinque esercizi, facendo venir meno la tempestività nelle coperture patrimoniali e rischiando di incentivare una gestione meno prudente dei rischi di credito. Tali cambiamenti generano effetti a cascata, con rischi di contrazione dei finanziamenti, aumento dei costi e potenziale diminuzione della stabilità complessiva del sistema.
Ne risentiranno non solo gli intermediari finanziari, ma anche il mondo produttivo e le famiglie, che potrebbero veder gravare su di sé una parte dei nuovi oneri tramite un aumento dei costi bancari e una riduzione della disponibilità di credito. Populismo fiscale dietro le nuove tasse sulle banche si riflette dunque in una traslazione degli effetti dalle banche verso gli attori più deboli del sistema economico.
L'argomentazione basata sugli extraprofitti bancari, per quanto giuridicamente controversa dal momento che il codice tributario italiano non ne prevede la definizione, è stata impiegata per giustificare interventi straordinari e giustificare politiche redistributive.
La narrazione del contributo delle banche alla crescita del Paese trova riscontro nei dibattiti parlamentari e nelle dichiarazioni pubbliche di alcuni rappresentanti del governo. Tuttavia, numerosi esperti sottolineano come una tassazione fortemente settoriale rischi di produrre distorsioni nei mercati, indebolendo quei comparti che rivestono una funzione essenziale per lo sviluppo economico nazionale. L'adozione di provvedimenti mirati alle banche può essere vista come risposta alle pressioni dell'elettorato, specie in periodi pre-elettorali, ma viene criticata dagli osservatori più attenti per la sua natura potenzialmente regressiva e per i rischi di effetti collaterali indesiderati.
La logica di tali scelte evidenzia elementi di populismo fiscale, volti a favorire una percezione di giustizia sociale ma con ripercussioni a catena sulle componenti più vulnerabili della società, quali piccoli imprenditori, lavoratori autonomi e risparmiatori.
La presentazione della manovra finanziaria ha scatenato reazioni contrastanti tra i principali stakeholder. Il governo ha difeso la scelta sostenendo la necessità di reperire risorse straordinarie da settori ritenuti in forte attivo. Alcuni esponenti dell'esecutivo hanno indicato gli utili storici registrati dal comparto bancario come motivo per un maggiore “contributo” alla collettività, riallacciandosi al discorso sugli extraprofitti.
Dal canto loro, le principali associazioni di categoria bancaria (come l'ABI) e le organizzazioni imprenditoriali (Unimpresa) hanno espresso preoccupazione per la tenuta del sistema creditizio, sottolineando che le nuove imposte finiscono per colpire indirettamente tutta la filiera del credito e il mondo produttivo.
Gli effetti delle nuove misure fiscali, spesso presentate come interventi eccezionali a carico degli istituti bancari, finiscono per essere trasferiti su cittadini, PMI e imprese in vari modi. Le banche, per mantenere livelli di redditività adeguati e tutelare il proprio patrimonio, sono incentivate a:
La seguente tabella sintetizza i canali principali di traslazione del tributo:
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Canale di Trasferimento |
Effetto su Cittadini/Imprese |
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Incremento delle commissioni |
Maggior costo di utilizzo dei servizi bancari |
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Diminuzione credito |
Maggiore selettività, meno investimenti e innovazione |
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Riduzione dei tassi sui depositi |
Minore remunerazione del risparmio privato |
Il carico della manovra finanziaria sulle banche, quindi, rischia di esercitare un effetto sostanzialmente redistributivo ma non necessariamente equo, colpendo soprattutto quei soggetti meno protetti dalla volatilità finanziaria e dalla rigidità dell'offerta di credito.