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Irpef 2026 e taglio, guadagni irrisori per il ceto medio e la penalizzazione dei più ricchi è solo finta

di Marianna Quatraro pubblicato il
Irpef 2026 taglio guadagni irrisori

Gli effetti della riforma dell'Irpef 2026 non sarebbero molto positivi con risparmi ridotti per il ceto medio e non solo

L’annuncio della riduzione Irpef prevista dal 2026 pone al centro del dibattito fiscale italiano il tema degli effetti reali per le diverse fasce di reddito, specialmente per il ceto medio. L’intervento, secondo le prime stime, interesserà più di 11 milioni di cittadini, ma pone diversi interrogativi sulle ricadute effettive in busta paga. 

Come cambia l’Irpef nel 2026: aliquote, scaglioni e beneficiari della riforma

A partire dal 2026 l'Irpef subirà una revisione significativa, con una rimodulazione dei principali scaglioni di tassazione. Le novità principali riguarderanno l’abbassamento della seconda aliquota dal 35% al 33% e, in alcune delle ipotesi maggiormente discusse, l’ampliamento dello scaglione intermedio dagli attuali 50.000 euro fino a 60.000 euro di reddito lordo. In questo modo la fascia maggiormente interessata dalla misura sarà quella compresa tra 28.000 e 50.000/60.000 euro, con un impatto rilevante sia su lavoratori dipendenti che autonomi e pensionati. L'Irpef sarebbe dunque così modulata:

  • Aliquota del 23% fino a 28.000 euro
  • Aliquota del 33% per i redditi tra 28.000 e (fino a) 50.000/60.000 euro
  • Aliquota del 43% oltre 50.000 o 60.000 euro, a seconda dell’assetto definitivo
Secondo le simulazioni MEF e le elaborazioni di centri studi come Unimpresa e la Fondazione nazionale commercialisti, l’intervento interesserà circa il 27-30% dei contribuenti e l’obiettivo dichiarato è quello di sostenere chi percepisce redditi medi, mentre resterebbero fuori i redditi inferiori a 28.000 euro.

Reali risparmi: le simulazioni pratiche per il ceto medio e chi guadagna di più

L’impatto della modifica delle aliquote sul risparmio fiscale individuale cambia significativamente in funzione del reddito complessivo. Diverse simulazioni forniscono un quadro chiaro di quanto il taglio possa incidere su laureati, quadri aziendali, professionisti e lavoratori dipendenti. Di seguito una sintesi rappresentativa delle principali stime, declinate per livelli di reddito:

Reddito lordo annuo Risparmio stimato (€/anno)
30.000 ca. 40–100
35.000 ca. 100–150
40.000 ca. 240–627
45.000 ca. 257–340
50.000 ca. 348–440
60.000 fino a 1.440

Il risparmio massimo, in condizioni di estensione dello scaglione fino a 60.000 euro, arriva a 1.440 euro (circa 120 euro al mese), ma questa cifra riguarda solo una ridotta platea con redditi al vertice dello scaglione. Nella gran parte dei casi, soprattutto per lavoratori con entrate tra 28.000 e 40.000 euro, l’alleggerimento effettivo resta intorno a poche decine o al massimo alcune centinaia di euro annui.

Per valori sotto i 30.000 euro l’impatto è quasi impercettibile (meno di 4 euro al mese), mentre per autonomi e pensionati le cifre si attestano su analoghi livelli, senza differenze sostanziali rispetto ai dipendenti. Il meccanismo a scaglioni determina infatti una progressività che attribuisce i vantaggi residui ai ceti con reddito più alto nell’intervallo di applicazione della misura.

Effetti sulle detrazioni e impatto per i redditi alti: chi è davvero penalizzato?

Un aspetto determinante per valutare gli effetti reali della riforma è l’interazione tra la riduzione dell’aliquota e i meccanismi di detrazione attualmente in vigore. Negli anni precedenti, si sono già sperimentate forme di sterilizzazione del vantaggio fiscale per chi superava certi livelli reddituali, con riduzioni secche sulle detrazioni Irpef.

Nel 2026, secondo le ipotesi più accreditate, dovrebbe essere replicato uno schema simile: sopra una determinata soglia, discussa tra 120.000 e 200.000 euro annui, il beneficio fiscale della riduzione si annullerebbe totalmente, o sarebbe fortemente ridotto grazie a tagli specifici sulle detrazioni spettanti.

  • Per i redditi fino a 50.000 euro, il risparmio è di 440 euro all'anno sarebbero appena 37 euro al mese
  • Tra 50.000 e 200.000 euro, si valuta un sistema di riduzione progressiva delle detrazioni, che annullerebbe il vantaggio per i redditi più elevati e che, se dovesse interessare realmente la soglia dei 200.000 euro, escluderebbe solo 146.000 contribuenti, lo 0,34% del totale
  • Sopra i 200.000 euro, l’intera riduzione può essere neutralizzata.
La motivazione principale di tali correttivi è evitare che lo sconto Irpef, nato per sostenere il ceto medio, favorisca anche i redditi più elevati senza reale necessità sociale. Secondo i dati forniti dal MEF, lo 0,34% dei contribuenti (sopra 200.000 euro) contribuirebbe a restituire alle casse pubbliche fino a 65 milioni, limitando l’impatto distributivo negativo della misura. Tuttavia, il dibattito resta aperto su come fissare la soglia e mantenere coerenza tra progressività e sostenibilità finanziaria.

Il costo per le finanze pubbliche e la sfida della sostenibilità: le risorse per il taglio Irpef

Uno dei temi più discussi riguarda la copertura finanziaria del taglio Irpef, specie in un contesto di regole europee stringenti e necessità di consolidamento del bilancio pubblico. Secondo stime convergenti di MEF, Unimpresa e altri operatori di settore, il costo annuo dell’operazione oscillerà tra i 3 e i 4,5 miliardi di euro, in base all’ampiezza dello scaglione e ai correttivi introdotti.

Scenario ipotizzato Costo stimato (miliardi €/anno)
Riduzione 35%→33% (scaglione fino a 50k) 2,7–2,8
Estensione scaglione fino a 60k 4–4,5

Il reperimento delle coperture sarà affidato principalmente a una revisione della spesa pubblica, lotta all’evasione, rimodulazione di alcune agevolazioni fiscali e, parzialmente, ad anticipi fiscali nel settore bancario. 

 

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