Dal 2006 il tuo sito imparziale su Lavoro, Fisco, Investimenti, Pensioni, Aziende ed Auto

Pensione di reversibilità, quando l'Inps può negarla secondo sentenza n.23352 2025 Cassazione

di Marianna Quatraro pubblicato il
Pensione reversibilita casi negarla

Quali sono i casi in cui l'Inps può negare il riconoscimento della pensione di reversibilità secondo una recente sentenza della Cassazione

La pensione di reversibilità, intesa come prestazione economica erogata ai superstiti di un assicurato o pensionato deceduto, rappresenta un pilastro nel sistema previdenziale italiano. Negli ultimi anni, una serie di interventi normativi e soprattutto una recente sentenza della Corte di Cassazione hanno inciso sensibilmente sulle modalità di accesso e sulle condizioni che regolano l’erogazione di questa prestazione. 

A chi spetta la pensione di reversibilità: criteri e categorie di beneficiari

La pensione di reversibilità ai superstiti viene concesso solo in presenza di precisi requisiti soggettivi e oggettivi legati al rapporto di parentela con il deceduto e alla condizione economica del richiedente. Rientrano tra i potenziali beneficiari:

  • Coniuge superstite o parte dell’unione civile: il diritto sussiste anche in caso di separazione legale, salvo il divorzio e in specifici casi di addebito, mentre in caso di divorzio la reversibilità è subordinata all’attribuzione di un assegno divorzile.
  • Ex coniuge divorziato: solo se titolare di assegno divorzile e non passato a nuove nozze, con quota stabilita dal tribunale seguendo criteri solidaristici come durata del matrimonio, condizioni economiche e importo dell’assegno divorzile.
  • Figli minorenni, studenti o inabili al lavoro: il diritto spetta ai figli legittimi, naturali, adottivi e affiliati, a condizione che fossero a carico del pensionato al momento del decesso. Per i maggiorenni inabili serve dimostrare l’invalidità e la non autosufficienza economica.
  • Altri familiari (genitori, fratelli e sorelle): in assenza delle figure precedenti e alle condizioni di mancato autosostentamento, carico economico, eventuale inabilità o età avanzata.

I motivi per cui l’INPS può negare la pensione di reversibilità

I casi in cui l’INPS può negare la pensione di reversibilità sono stati ampliati anche per effetto di recenti pronunciamenti giurisprudenziali. Le motivazioni principali possono essere così riassunte:
  • Prescrizione dei ratei e delle domande tardive: la domanda di reversibilità deve essere presentata entro 10 anni dal decesso (prescrizione ordinaria), mentre per i singoli ratei arretrati si applica la prescrizione quinquennale, secondo le ultime disposizioni.
  • Mancato possesso dei requisiti soggettivi: assenza della condizione di carico economico, invalidità non riscontrata, condizioni familiari o reddituali non conformi alla normativa.
  • Omissione, variazione o assenza di comunicazione di eventi rilevanti: mancata dichiarazione di matrimonio, nuova convivenza, lavoro o variazioni reddituali può portare alla revoca o sospensione della prestazione.
  • Domanda relativa a prestazioni non trasmissibili: ad esempio su trattamenti come l’Ape Sociale, la legge esclude espressamente ogni forma di reversibilità.
  • Richieste presentate da soggetti non aventi titolo: domanda inoltrata da familiari privi dei requisiti previsti dalla legge.

Prescrizione e domande tardive: quando si rischia di perdere il diritto all’assegno

Uno dei motivi che espone maggiormente i superstiti alla perdita della prestazione riguarda la prescrizione, cioè il decorso del tempo senza atti interruttivi. La normativa vigente distingue infatti tra:
Tipo di diritto Termine prescrizionale
Diritto alla prestazione (domanda per l’assegno) 10 anni dal decesso
Ratei arretrati non pagati 5 anni dalla scadenza di ogni singolo rateo

Se la domanda viene presentata molti anni dopo il decesso, una parte consistente degli importi potrebbe non essere più riconosciuta. Una delle novità introdotte dalla Cassazione consiste nel legittimare l’INPS a eccepire la prescrizione anche senza dover precisare la data esatta di decorrenza, demandando al giudice la ricostruzione temporale e la distinzione fra ratei prescritti ed esigibili. Gli interessi vengono calcolati solo dalla data della domanda amministrativa, e non a ritroso dal decesso.

La sentenza n.23352/2025 della Corte di Cassazione: cosa cambia 

La sentenza on. 23352/2025 della Corte di Cassazione ha stabilito che, quando l’Inps accerta la prescrizione dei ratei o oppone riserve sulla tempestività della domanda, non è più richiesta una contestazione dettagliata e puntuale della data da cui decorre la prescrizione. Spetta, infatti, al giudice ricostruire d’ufficio la cronologia, distinguendo tra ratei scaduti e ratei tuttora esigibili. Questo determina due effetti tangibili:

  • È più facile per l’INPS ottenere il rigetto delle domande tardive;
  • Gli interessi e i ratei arretrati possono essere drasticamente ridotti o negati, se la presentazione dell’istanza amministrativa è avvenuta molto tempo dopo il decesso.
Rispetto agli anni scorsi, il tempo diventa un fattore ancora più determinante e ogni mese di ritardo può compromettere il diritto a una somma significativa.

La pronuncia della Cassazione ha ribadito che è sufficiente che l’ente sollevi in modo generico l’eccezione di prescrizione; la valutazione concreta passa all’autorità giudiziaria, alla quale spetta l’onere di analizzare documenti, atti interruttivi e cronologie depositate dalle parti. Gli aventi diritto devono quindi allegare tutte le azioni svolte per interrompere i termini e dimostrare la tempestività della domanda.

 

Leggi anche