La pensione di reversibilità, intesa come prestazione economica erogata ai superstiti di un assicurato o pensionato deceduto, rappresenta un pilastro nel sistema previdenziale italiano. Negli ultimi anni, una serie di interventi normativi e soprattutto una recente sentenza della Corte di Cassazione hanno inciso sensibilmente sulle modalità di accesso e sulle condizioni che regolano l’erogazione di questa prestazione.
A chi spetta la pensione di reversibilità: criteri e categorie di beneficiari
La pensione di reversibilità ai superstiti viene concesso solo in presenza di precisi requisiti soggettivi e oggettivi legati al rapporto di parentela con il deceduto e alla condizione economica del richiedente. Rientrano tra i potenziali beneficiari:
- Coniuge superstite o parte dell’unione civile: il diritto sussiste anche in caso di separazione legale, salvo il divorzio e in specifici casi di addebito, mentre in caso di divorzio la reversibilità è subordinata all’attribuzione di un assegno divorzile.
- Ex coniuge divorziato: solo se titolare di assegno divorzile e non passato a nuove nozze, con quota stabilita dal tribunale seguendo criteri solidaristici come durata del matrimonio, condizioni economiche e importo dell’assegno divorzile.
- Figli minorenni, studenti o inabili al lavoro: il diritto spetta ai figli legittimi, naturali, adottivi e affiliati, a condizione che fossero a carico del pensionato al momento del decesso. Per i maggiorenni inabili serve dimostrare l’invalidità e la non autosufficienza economica.
- Altri familiari (genitori, fratelli e sorelle): in assenza delle figure precedenti e alle condizioni di mancato autosostentamento, carico economico, eventuale inabilità o età avanzata.
I motivi per cui l’INPS può negare la pensione di reversibilità
I casi in cui l’INPS può negare la pensione di reversibilità sono stati ampliati anche per effetto di recenti pronunciamenti giurisprudenziali. Le motivazioni principali possono essere così riassunte:
- Prescrizione dei ratei e delle domande tardive: la domanda di reversibilità deve essere presentata entro 10 anni dal decesso (prescrizione ordinaria), mentre per i singoli ratei arretrati si applica la prescrizione quinquennale, secondo le ultime disposizioni.
- Mancato possesso dei requisiti soggettivi: assenza della condizione di carico economico, invalidità non riscontrata, condizioni familiari o reddituali non conformi alla normativa.
- Omissione, variazione o assenza di comunicazione di eventi rilevanti: mancata dichiarazione di matrimonio, nuova convivenza, lavoro o variazioni reddituali può portare alla revoca o sospensione della prestazione.
- Domanda relativa a prestazioni non trasmissibili: ad esempio su trattamenti come l’Ape Sociale, la legge esclude espressamente ogni forma di reversibilità.
- Richieste presentate da soggetti non aventi titolo: domanda inoltrata da familiari privi dei requisiti previsti dalla legge.
Prescrizione e domande tardive: quando si rischia di perdere il diritto all’assegno
Uno dei motivi che espone maggiormente i superstiti alla
perdita della prestazione riguarda la prescrizione, cioè il decorso del tempo senza atti interruttivi. La normativa vigente distingue infatti tra:
Tipo di diritto |
Termine prescrizionale |
Diritto alla prestazione (domanda per l’assegno) |
10 anni dal decesso |
Ratei arretrati non pagati |
5 anni dalla scadenza di ogni singolo rateo |
Se la domanda viene presentata molti anni dopo il decesso, una parte consistente degli importi potrebbe non essere più riconosciuta. Una delle novità introdotte dalla Cassazione consiste nel legittimare l’INPS a eccepire la prescrizione anche senza dover precisare la data esatta di decorrenza, demandando al giudice la ricostruzione temporale e la distinzione fra ratei prescritti ed esigibili. Gli interessi vengono calcolati solo dalla data della domanda amministrativa, e non a ritroso dal decesso.
La sentenza n.23352/2025 della Corte di Cassazione: cosa cambia
La sentenza on. 23352/2025 della Corte di Cassazione ha stabilito che, quando l’Inps accerta la prescrizione dei ratei o oppone riserve sulla tempestività della domanda, non è più richiesta una contestazione dettagliata e puntuale della data da cui decorre la prescrizione. Spetta, infatti, al giudice ricostruire d’ufficio la cronologia, distinguendo tra ratei scaduti e ratei tuttora esigibili. Questo determina due effetti tangibili:
- È più facile per l’INPS ottenere il rigetto delle domande tardive;
- Gli interessi e i ratei arretrati possono essere drasticamente ridotti o negati, se la presentazione dell’istanza amministrativa è avvenuta molto tempo dopo il decesso.
Rispetto agli anni scorsi, il tempo diventa un fattore ancora più determinante e ogni mese di ritardo può compromettere il diritto a una somma significativa.
La pronuncia della Cassazione ha ribadito che è sufficiente che l’ente sollevi in modo generico l’eccezione di prescrizione; la valutazione concreta passa all’autorità giudiziaria, alla quale spetta l’onere di analizzare documenti, atti interruttivi e cronologie depositate dalle parti. Gli aventi diritto devono quindi allegare tutte le azioni svolte per interrompere i termini e dimostrare la tempestività della domanda.
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