Quali sono le norme che regolano lo svolgimento del lavoro quando fa troppo caldo, l'obbligo di tutela dei dipendenti dai datori di lavoro e le sanzioni possibili
L’aumento delle temperature, insieme alla frequenza crescente di ondate di caldo e freddo, rappresenta una minaccia significativa per la salute dei lavoratori in Italia e nell’Unione Europea. Le condizioni climatiche avverse negli ambienti di lavoro richiedono una valutazione attenta dei rischi, soprattutto nei settori con esposizione diretta alle intemperie. La tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori non è solo un tema sanitario, ma anche giuridico, disciplinato dal quadro normativo nazionale e da regolamenti europei.
Non esiste a oggi una soglia di temperatura massima o minima fissata dalla legge italiana o dalle direttive UE oltre la quale sia obbligatorio sospendere l’attività lavorativa in ogni circostanza. Tuttavia, il Testo Unico sulla Sicurezza sul Lavoro (D.Lgs. 81/2008) impone ai datori di lavoro di valutare e mitigare i rischi legati a condizioni termiche sfavorevoli, garantendo ambienti salubri sia in interno sia in esterno. Il riferimento alle temperature massime a lavoro e quando si può smettere di lavorare si lega quindi a valutazioni di rischio e protocolli aziendali, più che a limiti numerici prescrittivi validi ovunque.
Nel 2024, regioni come Lombardia, Lazio, Toscana, Sicilia, Puglia, Molise, Abruzzo, Campania e Sardegna hanno adottato ordinanze specifiche che impongono sospensioni delle attività lavorative nei settori più esposti al rischio climatico, soprattutto durante le ore centrali della giornata (dalle 12:30 alle 16:00) nei casi in cui la temperatura all’ombra superi i 30°C e/o l’umidità relativa sia superiore al 70%. La validità delle sospensioni è solitamente limitata ai mesi estivi e può essere aggiornata secondo le condizioni meteo. In caso di inosservanza, sono previste sanzioni amministrative e penali per i datori di lavoro.
La valutazione del rischio termico avviene considerando parametri come temperatura reale, umidità relativa e carico fisico del lavoro. La temperatura percepita, che può essere superiore a quella misurata, determina il grado di esposizione e la soglia a cui scatta l’allerta rischio.
La metodologia di analisi include l’utilizzo di indici di calore, disponibili nei bollettini pubblicati da Inail e dai Dipartimenti Meteo-Clinici regionali, e di parametri riferiti alla specificità delle mansioni lavorative. Quando gli indicatori superano i limiti di sicurezza, è obbligatorio adottare azioni come sospensioni temporanee, pause supplementari o ricorso a dispositivi di protezione.
Il Codice Civile impone ai datori di lavoro l’obbligo di adottare tutte le misure necessarie per la tutela dell’integrità fisica e della salute dei dipendenti. Questo comporta la predisposizione di un Documento di Valutazione dei Rischi (DVR), aggiornato anche alle condizioni meteorologiche avverse, e la sorveglianza continua delle situazioni di rischio.
I datori di lavoro sono inoltre tenuti a fornire DPI adeguati (copricapo, abbigliamento idoneo, acqua potabile) e ad attuare programmi di formazione specifica sui rischi legati alle temperature estreme. Il mancato rispetto di tali obblighi può esporre le imprese a sanzioni e responsabilità legali.
Secondo la normativa vigente, il lavoratore ha diritto di interrompere legalmente l’attività (senza perdita della retribuzione) in presenza di condizioni ambientali che mettono a rischio salute e sicurezza, qualora manchino adeguate misure protettive.
In caso di persistente inadempienza aziendale, lo stesso dipendente ha la possibilità rassegnare dimissioni per giusta causa. Il responsabile della sicurezza può disporre la sospensione delle attività lavorative.