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Quanti mesi devono essere pagati in caso di licenziamento illegitimo da una Pmi? Non più 6 mesi grazie a Cassazione

di Marianna Quatraro pubblicato il
Quanti mesi licenziamento illegittimo Ca

Cosa cambia con la nuova recente sentenza della Cassazione per il pagamento delle indennità in caso di licenziamenti illegittimi nelle picolle imprese

Negli ultimi anni il tema della tutela dei lavoratori all’interno delle piccole e medie imprese (PMI) ha assunto particolare rilievo all’interno dell’ordinamento italiano, soprattutto in relazione alle controversie su licenziamenti non giustificati.

La disciplina delle indennità risarcitorie per i casi di licenziamento giudicato illegittimo ha visto profondi cambiamenti, con impatti diretti sia sulle parti in causa sia sull’intero sistema delle relazioni industriali. 

In questo contesto, la recente pronuncia della Corte Costituzionale n. 118 del 21 luglio 2025 ha ridefinito criteri e limiti di corresponsione degli indennizzi, modificando sensibilmente la normativa vigente.

Il quadro normativo in materia di licenziamento illegittimo nelle PMI

La regole sul licenziamento nelle PMI si basano su un insieme di norme distinte rispetto alle grandi aziende, in cui il dipendente gode di tutele parzialmente differenziate. Il Job Acts del 2015 ha stabilito i tempi massimi di pagamento delle indennità risarcitorie nelle piccole imprese nei casi di licenziamenti illegittimi, fissandoli a sei mesi ma anche ulteriori norme, come:

  • Accesso ai diritti: il dipendente illegittimamente allontanato poteva ottenere il riconoscimento del danno solo dopo aver esperito la procedura di impugnazione prescritta dalla legge.
  • Reintegrazione: la reintegra effettiva nel posto di lavoro era considerata soluzione residuale, più frequentemente sostituita da un risarcimento economico.
  • Compatibilità con trattamenti pensionistici: in caso di maturazione della pensione di vecchiaia, la giurisprudenza prevalente limita la possibilità di richiesta di indennità, riconoscendola solo per la fase intercorrente tra licenziamento e pensionamento.

Il sistema delle indennità risarcitorie prima della sentenza della Corte 2025

Prima dell’intervento più recente, la determinazione dell’indennità risarcitoria nelle PMI avveniva nel rispetto dei limiti quantitativi previsti dal D.Lgs. n. 81/2015. Il giudice, riconoscendo la nullità del licenziamento, poteva condannare il datore di lavoro a un pagamento onnicomprensivo con rigorosi margini minimi e massimi. 

In assenza di contratti collettivi che riducessero ulteriormente tali limiti a 6 mensilità (nel caso di graduatorie aziendali per l’assunzione), il valore del risarcimento si attestava sulla base del danno forfetizzato, senza necessità per il lavoratore di una prova dettagliata di ulteriori pregiudizi, considerando:

  • Criteri di quantificazione: la valutazione considerava l’anzianità di servizio, il contesto aziendale e la gravità della violazione.
  • Ristoro del danno "intermedio": era ristretto al periodo compreso tra la data del licenziamento e la pronuncia di ricostituzione del rapporto.
  • Tutela dissuasiva e prevedibilità: questi limiti favorivano sia la certezza degli oneri per l’impresa sia un contenimento del contenzioso.

Le novità introdotte dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 118 del 21 luglio 2025

La Corte Costituzionale, con la sentenza del 21 luglio 2025, n.118, ha dichiarato illegittima la normativa che stabilisce che, nel caso di licenziamenti illegittimi intimati da un datore di lavoro che non occupi più di quindici lavoratori presso un’unità produttiva o nell’ambito di un Comune e comunque non occupi più di sessanta dipendenti, l’importo delle indennità risarcitorie non può superare il limite di sei mensilità dell’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto per ogni anno di servizio.

La recente sentenza segna, dunque, un profondo mutamento nella gestione delle indennità derivanti da licenziamento illegittimo nelle PMI, cancellando il limite massimo precedentemente stabilito a sei mesi.

Le novità per il lavoratore riguardano:

  • Scomparsa del tetto massimo: il giudice dispone di maggiore discrezionalità nella determinazione dell’indennità, superando la rigidità della forchetta numerica.
  • Onerosità della prova: si introduce l’onere, per il lavoratore, di documentare puntualmente il danno maggiore subito, richiedendo una più dettagliata ricostruzione sia dei periodi di inattività che dei mancati introiti.
  • Impatto sul contenzioso: la maggiore imprevedibilità in sede di giudizio rischia di accrescere il numero di cause e di elevare il costo potenziale per le imprese coinvolte.

Criteri di determinazione dell’indennità dopo la riforma e il ruolo del giudice

L’abolizione dei limiti fissi pone il giudice nella posizione di valutare una pluralità di parametri per stabilire l’importo congruo dell’indennità risarcitoria nei casi di licenziamento senza giusta causa. 
Parametro Descrizione
Anzianità di servizio Durata del rapporto di lavoro e numero di anni svolti dal dipendente presso l’impresa
Gravità della violazione Natura e rilevanza del comportamento datoriale, nonché recidiva
Comportamento delle parti Eventuale attiva ricerca di nuova occupazione da parte del lavoratore o tentativi di conciliazione
Durata della controversia Tempistica intercorrente tra il licenziamento e la sentenza

Il giudice può anche valutare elementi di “particolare difficoltà” subita dal lavoratore, come la perdita di chance di reinserimento e i pregiudizi patrimoniali o morali. La discrezionalità giudiziale, incrementata in assenza di limiti prefissati, impone tuttavia una forte trasparenza nella motivazione delle sentenze.

Implicazioni pratiche per lavoratori e datori di lavoro: durata, reintegrazione e possibili contenziosi

Per effetto della nuova disciplina, il lavoratore dopo il licenziamento può essere reintegrato nel posto precedentemente occupato, ma solo a condizione che sia ancora giuridicamente ed effettivamente possibile, o, in caso contrario, può ricevere l’indennità sostitutiva, se sussistono i presupposti. 

Le condizioni da considerare sono:

  • Durata del contenzioso: l’allungamento dei tempi giudiziari rischia di incidere sull’ammontare dell’indennità spettante e sull’obbligo del datore di lavoro a versare contributi previdenziali e assistenziali fino all’effettiva reintegrazione.
  • Onere probatorio: la dimostrazione del maggior danno richiede una documentazione precisa che può risultare onerosa per il lavoratore, moltiplicando le necessità di assistenza tecnica e incrementando i costi della lite.
  • Dimensioni aziendali: sarà cura della PMI dimostrare eventuali motivi oggettivi che rendano impossibile la reintegrazione nella posizione lavorativa di partenza.

 

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