Nel quadro delle misure previste dalla manovra finanziaria, si discute anche dell’ipotesi di riconoscere il Trattamento di Fine Rapporto (TFR) direttamente in busta paga ai lavoratori dipendenti, per aumentare in tempi rapidi il reddito disponibile.
Si tratta di un intervento che nasce in risposta alle persistenti difficoltà legate al potere d’acquisto eroso dall’inflazione e alla stagnazione dei salari reali, soprattutto per chi si trova nelle fasce reddituali medio-basse, che punta ad anticipare il TFR per dare immediata liquidità, ma che solleva non pochi interrogativi.
Come funziona il TFR: aspetti normativi e modalità di maturazione
Il TFR rappresenta una quota differita della retribuzione, accantonata ogni anno dal datore di lavoro. Ogni mensilità di stipendio prevede la maturazione di una quota di TFR, calcolata dividendo la retribuzione annua per 13,5.
La normativa include non solo lo stipendio base, ma anche tutti gli elementi corrisposti con continuità, ad esclusione dei rimborsi spese. Il capitale così accantonato viene maggiorato annualmente di una rivalutazione composta (1,5% fisso più il 75% della variazione ISTAT dei prezzi al consumo).
Il diritto a ricevere il TFR matura alla cessazione del rapporto di lavoro, a prescindere dalla causa (dimissioni, licenziamento, pensionamento), mentre l’anticipazione ordinaria è possibile solo in precise condizioni, come spese sanitarie o acquisto della prima casa. Nei primi sei mesi dall’assunzione, il dipendente può scegliere se lasciare il TFR in azienda o destinarlo alla previdenza complementare; in assenza di scelta esplicita, opera il meccanismo del silenzio-assenso con il versamento al Fondo Pensione previsto dal contratto collettivo.
L’impatto sulla busta paga: differenze tra aumenti salariali e utilizzo del TFR
Se davvero si riconoscesse il Tfr in busta paga per incrementare le buste paga, l'aumento retributivo ordinario avrebbe effetti su diversi elementi:
- Aumento delle ritenute previdenziali e fiscali, incidendo sul netto percepito
- Ampliamento della base contributiva per la pensione futura
- Incremento della quota di TFR maturata annualmente
Dunque, il pagamento diretto del TFR in busta paga avrebbe come beneficio la liquidità immediata, ma ridurrebbe la quota previdenziale che verrebbe accantonata, con un
impatto negativo sul saldo di fine rapporto.
Inoltre, il trattamento fiscale della quota di TFR assorbita dalla retribuzione ordinaria non godrebbe della più favorevole tassazione separata, ma verrebbe assoggettato alla pressione fiscale standard, erodendo parte del vantaggio economico per il lavoratore.
Svantaggi del pagamento anticipato del TFR in busta paga
Il pagamento del TFR in busta paga presenta numerosi svantaggi, sia sul piano previdenziale sia in relazione alla sostenibilità finanziaria individuale e globale:
- Diminuzione del risparmio previdenziale: la rinuncia all’accantonamento del TFR compromette il "paracadute" economico che tutela il lavoratore al termine del rapporto, riducendo drasticamente la somma liquidabile in caso di pensionamento, licenziamento o dimissioni.
- Aumento dell’imposizione fiscale: la quota di TFR corrisposta mensilmente viene sottoposta alle normali aliquote IRPEF progressiva, per cui i lavoratori rischiano di subire una tassazione superiore rispetto a quella prevista dal regime di tassazione separata applicato a fine rapporto.
- Impatto negativo sui benefit pensionistici: un’uscita costante del TFR dal circuito di capitalizzazione progressiva comporta una minore rivalutazione sulla quota maturata, limitando sia l’eventuale rendita pensionistica integrativa (per chi opta per il fondo pensione), sia la massa accantonata sul valore reale della retribuzione.
- Esaurimento delle risorse per esigenze straordinarie: il TFR rappresenta, per tanti, l’unica fonte per far fronte a eventi gravi o investimenti importanti. L’erogazione anticipata ne azzera la funzione di tutela in caso di necessità impreviste, come spese sanitarie o acquisto della prima casa.
- Effetto superficiale sull’aumento reale del reddito: la liquidità aggiuntiva è modesta, specie perché soggetta a tassazione più elevata. Inoltre, la presenza di "drenaggio fiscale" rischia di far rientrare solo una parte della somma spettante, senza un reale incremento del potere d’acquisto, che continua a essere intaccato dall’inflazione e dalla mancata indicizzazione delle detrazioni.
C'è poi da considerare che
il Tfr in azienda rappresenta una delle maggiori fonti finanziarie per le stesse aziende perchè si possano finanziare. Stando a quanto riportano i dati recenti, infatti, il Tfr è il principale finanziamento del nostro sistema delle Pmi (e anche per la parte corrente dei conti dell'Inps: 6,5 miliardi nel 2024, 105 miliardi negli ultimi 17 anni), cioè per il 95% delle aziende. Ciò significa che i lavoratori, con il loro Tfr rappresentano la vera banca delle imprese italiane e, se tale cifra non dovesse più confluire nell'accumulo, genererebbe decisi svantaggi.
Riconoscere il Tfr in busta paga rappresenterebbe, poi, una sorta di violazione dei diritti costituzionali, considerando che la stessa Costituzione sancisce che il lavoratore ha diritto a una retribuzione che gli assicuri un'esistenza libera e dignitosa. E il TFR è considerato parte di questa retribuzione complessiva, che deve essere proporzionata e sufficiente.
I rischi per i lavoratori e per le aziende
Dalla nuova proposta di riconoscimento del Tfr in busta paga emergono anche diversi rischi:
- Per il lavoratore: erosione della sicurezza futura, minori accantonamenti pensionistici e perdita della funzione sociale del TFR come "tesoretto" da utilizzare negli eventi cruciali della vita lavorativa. Un rischio ulteriore è rappresentato dalla minore educazione al risparmio forzato, che nel tempo può tradursi in difficoltà a gestire eventi inattesi.
- Per l’azienda: il beneficio si limita a un alleggerimento temporaneo della gestione amministrativa. Restano invece invariati i costi legati alle retribuzioni. Inoltre, la manovra potrebbe scoraggiare l’adesione ai fondi pensione, incidendo sulla previdenza complementare di lungo periodo.
Le imprese di piccole dimensioni si troverebbero anche a dover rispondere a esigenze di liquidità nelle fasi di crisi, soprattutto nei casi di licenziamenti collettivi o chiusure.
Leggi anche