Mancano tutte le importanti misure annunciate e tanto auspicate nella nuova Manovra 2026 sia per le aziende che per lavoratori e famiglie
L'approvazione della Manovra Finanziaria 2026 si colloca in uno scenario di crescita economica stagnante e margini di spesa alquanto stretti. Nonostante le attese di riforme ampie e incisive, la manovra si limita d'interventi modesti nei confronti di imprese, lavoratori e pensionati, rispecchiando una politica fiscale di pura tenuta dei conti. La maggior parte dei provvedimenti previsti mira alla conferma e al piccolo restyling delle disposizioni del precedente anno, senza significativi allargamenti o innovazioni strutturali a beneficio delle diverse categorie sociali.
Nonostante i ripetuti richiami a supportare la competitività, le misure per le imprese si limitano a una proroga delle agevolazioni già attive in passato, con alcune marginali novità:
Le modifiche principali della Manovra 2026 per lavoratori dipendenti, autonomi e famiglie riguardano soprattutto l’intervento sull’IRPEF, presentato come una misura per la tutela del ceto medio e della capacità di spesa. In concreto, dalla dichiarazione dei redditi 2026, l’aliquota per il secondo scaglione (28.000-50.000 euro) viene ridotta dal 35% al 33%. Questa modifica rappresenta il nucleo delle misure della manovra 2026 per aziende lavoratori e pensionati dal lato dei redditi da lavoro, ma con effetti molto modesti:
Le famiglie possono contare sulla conferma di alcune misure di sostegno, quali il bonus mamme (40 euro mensili per nuclei con almeno due figli minori), la ridefinizione dei parametri ISEE, con probabile esclusione della prima casa dal computo che sarebbe, però, limitata solo ad alcune persone e non valida per tutti, con il rischio di creare iniquità, e una proroga selettiva dei bonus edilizi.
Sul fronte previdenziale, le novità della manovra sono più di facciata che di sostanza. La rivalutazione annuale delle pensioni rimane confermata sulla base dell’inflazione, ma per la gran parte dei pensionati l’adeguamento sarà solo parziale: le perequazioni piene riguarderanno solo gli assegni di importo basso, mentre per i trattamenti più elevati si manterranno criteri penalizzanti già in vigore nei precedenti esercizi. Di fatto, la rivalutazione produrrà incrementi di pochi euro mensili per la maggioranza.
Anche per il 2026, infatti, le percentuali rivalutative saranno di:
Fascia di reddito | Percentuale di rivalutazione |
Fino a 4 volte il trattamento minimo | 100% |
Tra 4 e 5 volte il trattamento minimo | 90% |
Oltre 5 volte il trattamento minimo | 75% |
La percentuale del 100%, cioè la piena rivalutazione, riguarda, dunque, esclusivamente gli assegni fino alla soglia di quattro volte il minimo.
Resta, invece, ancora in sospeso il tema dell’adeguamento automatico dell’età pensionabile alle aspettative di vita. L’ipotesi più accreditata è il blocco dell’incremento (tre mesi) almeno per chi nel 2027 abbia già compiuto 64 anni, oppure una diluizione dello scatto in più annualità (1 mese nel 2027, 2 mesi nel 2028).
Per il trattamento di fine rapporto (TFR) si studia la possibilità di utilizzarlo per raggiungere la soglia contributiva necessaria alla pensione anticipata, una soluzione pensata soprattutto per chi ha carriere discontinue ma fortemente osteggiata dalle parti sociali, mentre dovrebbero essere confermate ancora per il 2026 le forme di uscita anticipata con Quota 103, Opzione donna e Ape sociale.